impasto_graziella 84 anni

Ritrovarsi in una casa a Lacedonia durante il periodo natalizio é un’esperienza soprattutto sensoriale. Ricordo qualche anno fa, quando puzzavo dalla fame in giro per l’Italia, di ritorno a casa, credo fosse stato il 23 dicembre, mi sono ritrovato a tavola a pranzare almeno per tre ore, fino al pomeriggio inoltrato, e mentre mangiavamo osservavo con immenso piacere che le nostre donne erano già lì in cucina, fra una chiacchierata e l’altra, a preparare da mangiare per la sera. Se mai dovessimo realizzare un film sul Natale irpino, un cinepanettone per capirci, non avrei dubbi sul titolo: la sfida di natale… perché?
Allora, voi immaginate un paese di tremila anime dove tutti si conoscono, dove esistono legami tribali o di parentela, dove la maggior parte delle donne nascono vivono e muoiono nella stessa casa. Immaginate un inverno che inizia a novembre e finisce a marzo; riuscite a vedere almeno 4 mesi di neve continua, permanente, noi bambini a giocare intorno alla “furnacell” (il camino dei contadini), preparare pane abbrustolito, con olio e qualche grattuggiata di aglio? Forse, ora, riuscite ad avere un’idea più chiara del nostro natale: un’interminabile attesa, un continuo mormorio e richiesta: “Quando li fate, quando li Preparate?” E poi, finalmente, una bella sera, tornando a casa dopo essere stati un intero pomeriggio a giocare, scopri tua madre, lì, intenta a sbucciare le castagne bollite e a tostare le mandorle sul fuoco: ecco, da quel momento capisci che inizia l’Impasto, i giorni che seguiranno non saranno uguali agli altri, ogni famiglia inizia il proprio “presepio”, Lacedonia si riscopre nel pieno della battaglia: La sfida del Calzoncello. I ruoli sono già belli che scritti, atavici: le donne selezionano le marmellate, comprano la cioccolata, decidono le castagne e le mandorle, ricercano il vin cotto; gli uomini sono dei meri osservatori, semplici comparse, a disposizione per ogni evenienza. Il fermento di quei giorni è esclusivo, irripetibile, unico! In tutto ciò l’operazione fondamentale, dettaglio indiscutibile, scrupoloso piano, l’operazione finale, sì, quella tocca al Capofamiglia: il contatto con l’esterno, portare i Calzoncelli al forno. La prenotazione avviene con un’unica parola, secca, sintetica, senza attenuanti: “m’ arraccumann”, mi raccomando! Il gesto finale, un depositare, in mani altrui, la riuscita del Natale nella propria famiglia. Poi l’attesa, vigile, della sfornata…
e il ritorno a casa: finalmente ogni mamma può accogliere e riunire l’intera famiglia.
In quei giorni, il traffico nei vicoli intorno al forno è come impazzito, l’euforia, l’apprensione giocano brutti
scherzi. Il rischio, la sciagura è non farli bruciare ma soprattutto sperare che non si aprano.
Quello che negli anni ho capito è che non è il Calzoncello in sé a decretare la riuscita o meno del Natale, no, é quello dello scambio e dell’assaggio. In quei giorni vi è un continuo via vai per le case, un perenne scambio di confezioni artigianali; il lavoro di noi ragazzini consisteva nell’andare a casa di parenti, compari, e la “grande famiglia del vicinato”, a portare confezione di Calzoncelli. Di solito la sera, a cena, dopo essersi sfondati di tutto, ecco che a tavola ti presentano almeno tre piatti con altrettante varianti, di?
Calzoncelli ovviamente; e l’intera famiglia con molta cautela a decretare i migliori, il tipo di marmellata, e la quantità di cioccolata utilizzata, poiché in realtà una ricetta vera non c’è e l’unico vero giudizio attendibile rimane sempre quello della donna.
La strada era una famiglia, la gioia e il dolore di una casa erano condiviso da tutti, l’impossibilità fisica o dell’animo di fare i Calzoncelli voleva significare solidarietà, appartenenza. Una famiglia in lutto non aveva Calzoncelli in casa, non “poteva” preparare nulla per il natale, e allora i vicini, con profondo cordoglio preparavano per quella famiglia un po’ di Calzoncelli in più…
a Lacedonia non è natale se non ci sono i Calzoncelli.
Ecco, il Natale a Lacedonia era questo, non molto tempo fa, ma ancora vive, illuminato.



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